Aiuti concreti alle due mense solidali di Varese. Ieri la Befana Asi del club Auto Moto Storiche Varese ha lasciato il segno della solidarietà con tanti pacchi alimentari recapitati ai volontari che operano alla Casa della Carità alla chiesa della Brunella e alla mensa diurna gestita da anni dalle Suore della Riparazione di via Luini. E’ da anni che il club Vams sostiene cause caritatevoli: nel 2020 ha erogato un contributo al Fondo di mutuo soccorso istituito dal Comune di Varese per famiglie in difficoltà.

Un ringraziamento particolare al Team Eberhard di Coira e al suo direttore sportivo Simon Muller che ha contribuito alle donazioni.

 

Dopo aver contattato don Marco Casale, responsabile della Caritas decanale di Varese, i vertici del club Vams hanno incontrato i volontari della mensa di Via Marzorati e quella di via Bernardino Luini, due strutture da anni di riferimento per il territorio che distribuiscono centinaia di pasti ogni giorno, a pranzo e a cena, alle persone in difficoltà.

Il club Vams – che certifica auto e moto storiche di oltre vent’anni ed organizza vari eventi tra i quali la rievocazione di Varese-Campo dei Fiori e della Sei Giorni per moto storiche – non è nuovo ad iniziative di sensibilità sociale: nel passato sono state sostenuti Il Ponte del Sorriso, la Fondazione Renato Piatti, Make a Wish, Aiutiamo la Paraplegia-Clay Regazzoni e la Croce Rossa.

 

 


Inverno 1996: nasce al salone di Ginevra la nuova Porsche Boxster. E a Zuffenhausen pochi giorni fa sono cominciati i preparativi per festeggiare come si deve i primi 25 anni di uno dei modelli di maggior successo della Casa tedesca.

Non erano anni facili per Porsche, gli anni Ottanta. Serviva una svolta, qualcosa di importante che riportasse i modelli della Casa di Zuffenhausen in cima alle wishlist degli appassionati di auto sportive. Vennero esplorate diverse possibilità, compresa quella di una grande berlina a quattro porte contraddistinta dal codice di progetto 989: venne realizzato un prototipo, ma non superò le fasi di approvazione.

Per il responsabile del dipartimento di Ricerca e Sviluppo, Horst Marchart, serviva piuttosto guardarsi indietro, alla ricerca delle proprie origini, per recuperare appeal e profitti.

Porsche aveva una grande tradizione di roadster a motore centrale – la 550 Spyder, la 718 RSK, la 914/6 – e così fu dato il via libera allo sviluppo di una biposto sportiva a motore centrale. Che si concretizzò nel 1993, quando al Salone di Detroit, in gennaio, venne svelata Boxster Concept: linee mozzafiato, dettagli pazzeschi, una purezza di stile che infiammò il pubblico. Come sia andata a finire, lo sanno tutti: al Salone di Ginevra del 1996, appunto, la Porsche lancia la versione di serie della Boxster.

Nel periodo 1996 – 1999 a spingere la Boxster è un motore a cilindri contrapposti da 2,5 litri, raffreddato a liquido e strettamente imparentato al 3,4 litri della futura 996, avente doppio albero a camme per ciascuna delle due bancate, 6 cilindri e testate a 4 valvole per cilindro, in grado di sviluppare 204 CV che trasferisce alle ruote posteriori attraverso un cambio manuale a 5 marce (di serie) o un cambio automatico – sequenziale Tiptronic, sempre a 5 marce, su richiesta.

Il telaio è analogo a quello che sarà utilizzato per la nuova 996 che entrerà in produzione nel 1998, opportunamente adattato per accogliere il motore centrale. L’utilizzo del maggior numero possibile di componenti in comune permette una cospicua riduzione dei costi di produzione.

Boxster 986 MkI, vista laterale – La capote è semiautomatica (sgancio manuale e movimento elettrico) in tessuto a tre strati, con un tempo per l’apertura o la chiusura di 12 secondi, tra i più bassi in assoluto per una roadster. I freni sono a disco autoventilanti, di serie su tutte le ruote, mentre i cerchi sono in lega da 16 pollici. La velocità massima dichiarata è di 245 km/h grazie soprattutto alla raffinata aerodinamica della vettura, dovuta all’attento studio dei flussi in galleria del vento ed al sottoscocca rivestito, come avviene sulle vetture stradali più sportive: il CX dichiarato è pari a 0,31 (valore destinato a calare negli anni sino a 0,29). L’accelerazione dichiarata dalla Casa da 0 a 100 km/h è di 7 secondi.

Porsche dichiara sin dall’inizio che la lubrificazione del propulsore è affidata al  carter secco cosiddetto “integrato”: il carter secco è utilizzato sulle auto da competizione e sulle vetture stradali più sportive per abbassare il baricentro della vettura e migliorare la lubrificazione del propulsore in curva. In realtà il sistema utilizzato sulla Boxster non è un vero e proprio carter secco, bensì si tratta di un sistema ibrido analogo ai tradizionali e più economici carter umidi, come peraltro avviene su tutta la produzione Porsche raffreddata a liquido (con le uniche eccezioni dei modelli più sportivi quali Porsche GT3 o i modelli Porsche 911 turbo 996 e 997 con propulsore da 3,6 litri con basamento derivato dalla Porsche 964).

La Boxster ripropone, praticamente identico sino ai montanti, l’avantreno della 996, compresi i discussi fari dalla forma nuova (ironicamente definiti dagli appassionati a “uovo fritto”), che verranno abbandonati con il modello 987, nonché le sospensioni anteriori con sistema Mc Pherson. Le sospensioni posteriori sono anch’esse derivate dal sistema MacPherson e quindi differenti rispetto alla 996, anche per via del motore centrale e non a sbalzo come sulla sorella maggiore.

Caratteristica peculiare della produzione Porsche è la presenza di uno specifico spoiler retrattile sulla coda: al fine di migliorare la tenuta di strada del retrotreno, a velocità superiori ai 120 km/h si alza, rimanendo in posizione finché il veicolo non scende a velocità inferiori a 80 km/h: pertanto a veicolo fermo o a bassa velocità resta celato alla vista, anche al fine di non modificare la linea della Boxster. Un apposito interruttore nell’abitacolo permette comunque di alzarlo o abbassarlo a piacimento.

Sin dalla prima versione propone inoltre due caratteristiche prese d’aria nella parte posteriore delle fiancate, indispensabili per alimentare il propulsore di aria fresca e permettere lo sfogo di quella calda; sono in tinta con la carrozzeria e sono poste più in alto rispetto al prototipo del 1993 per evitare di intasarsi con il fango ed altri materiali che eventualmente potrebbero depositarvisi.

Il terminale di scarico è centrale ad uscita singola ovale. La Boxster monta di serie cerchi in lega da 16 pollici (in opzione da 17).

La produzione, inizialmente effettuata dalla Porsche presso gli stabilimenti di Stoccarda per primi 30.000 esemplari circa, venne in gran parte demandata – sin dal settembre 1997 – alla finlandese Valmet Automotive a causa della elevata domanda; propulsore e cambio erano comunque prodotti per intero a Stoccarda.

 

Nel mese di marzo 2021 ricorre dunque il 25 anniversario della Boxster type 986. Porsche ha già iniziato a scaldare il “flat six” di 2.5 litri da 200 CV della prima Boxster e nel corso del 2021 ci saranno numerose occasioni per parlare di questa straordinaria sportiva, la cui dinamica di guida è ancora attuale e coinvolgente, ma che non è stata ancora premiata dal mercato, com’è accaduto per la 911.

Abbiamo ascoltato due dei “padri” della Boxster, Horst Marchart appunto, e Grant Larson, il designer americano autore delle forme della concept car.

Il presupposto per il via libera alla produzione era che la Boxster utilizzasse molte parti della futura 911/996, ha spiegato Marchart, e la scelta del motore a sei cilindri, benché di cilindrata ridotta, venne presa per distinguersi dalla concorrenza che utilizzava prevalentemente unità propulsive a quattro cilindri. Il budget era limitato e così, anche il nome venne definito internamente – è, come tutti sanno, la crasi di boxer e di roadster – evitando i costi di un’eventuale agenzia di naming.

Larson, dal canto suo, ha raccontato come la linea della vettura di serie abbia mantenuto gli stilemi dello spettacolare prototipo, con i parafanghi anteriori più alti del cofano e, soprattutto, il terminale di scarico centrale, che all’epoca nessuno dei concorrenti aveva ancora osato adottare. Entrambi, infine, hanno concordato che tra tutte le generazioni, la prima 986 sia quella più riuscita da un punto di vista stilistico.


Il 27 dicembre 1945, nella fabbrica tedesca di Wolfsburg iniziò la produzione di serie della berlina Volkswagen Typ 1. E con essa la storia di successo dell’intera Volkswagen. L’origine di questo modello si deve ai nazisti, che vollero farne un progetto di prestigio del regime, ma dal 1939 lo stabilimento che doveva costruirlo venne convertito alla produzione bellica. Fino alla fine della seconda guerra mondiale, infatti, appena 630 unità avevano lasciato la fabbrica della Volkswagen. Il modello, intanto, nel 1938 era stato rinominato KdF-Wagen, ossia “l’auto della forza attraverso la gioia”, in quanto la sua realizzazione era gestita dall’omonima organizzazione ricreativa nazista, parte del Fronte dei Lavoratori Tedeschi.

 

Tuttavia, fu solo sotto l’amministrazione fiduciaria inglese che a Wolfsburg iniziò la storia di successo del Maggiolino Volkswagen, grazie alla straordinaria visione strategica del Maggiore Ivan Hirst.

A Wolfsburg, la produzione di serie dell’automobile civile Volkswagen (identificata internamente come Typ 1 e destinata a diventare conosciuta nel mondo come Maggiolino) iniziò solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 27 dicembre 1945. Grazie all’amministrazione fiduciaria assunta dal Governo Militare Britannico nel giugno 1945 sulla Volkswagenwerk GmbH, gli inglesi intendevano utilizzare la Volkswagen Typ 1 per funzioni di trasporto urgenti necessarie nella loro zona di occupazione. Fu il pragmatismo britannico che in sostanza protesse la fabbrica dalla imminente demolizione.

L’ufficiale residente Maggiore Ivan Hirst ebbe un ruolo chiave in questi sviluppi. Furono la sua lungimiranza e la sua inventiva che gli permisero di avviare la produzione di automobili negli anni dei razionamenti, caratterizzati dalla mancanza di materie prime. Con il suo entusiasmo per la tecnologia e le auto, la sua concretezza e la determinazione, riuscì a trasformare uno stabilimento bellico in un’industria civile in un tempo molto breve. Già ad agosto del 1945, il Governo Militare Britannico aveva commissionato un ordine per 20.000 vetture. L’avvio della produzione fu un segno visibile di un nuovo inizio e di speranza per una fabbrica che, per la fine della seconda guerra mondiale, era stata in gran parte distrutta.

 

La produzione della Typ 1 nella fabbrica di Wolfsburg – Questa soluzione era in linea con la successiva politica inglese in Germania, che vedeva la sicurezza materiale e le prospettive future per la popolazione come elementi fondanti nello sviluppo delle strutture democratiche. Così, la democrazia trovò il suo sbocco anche all’interno della Volkswagenwerk: il 27 novembre 1945, il Consiglio di Fabbrica eletto con una votazione democratica si riunì per la propria assemblea costitutiva. Ciononostante, ci furono molti problemi nel fornire ai lavoratori cibo e alloggio, inoltre la produzione era rallentata dalla scarsità di materie prime e forniture energetiche.

A dispetto di tutte queste difficoltà, le prime berline Volkswagen lasciarono la linea di produzione poco dopo Natale: un regalo ad appena otto mesi dalla fine della guerra. Per la fine del 1945, erano state prodotte 55 vetture. Dal 1946, divennero circa 1.000 le auto costruite ogni mese: non era possibile realizzarne di più a causa della scarsità di materie prime e forza lavoro. Fino all’autunno del 1949, gli amministratori fiduciari posero i fondamenti per la successiva crescita dell’Azienda: istituirono un sistema di vendita, l’assistenza ai Clienti e dal 1947 iniziarono a esportare la berlina Volkswagen. La decisione di sviluppare una fabbrica civile e di avviare la produzione di serie della Volkswagen Typ 1 fu il punto di partenza di una storia di successo unica. Grazie all’immediato riavvio, la Volkswagenwerk GmbH si trovò poi in una eccellente posizione iniziale quando arrivò la ripresa economica che seguì l’introduzione del Marco tedesco. Con il nome non ufficiale di Maggiolino, la berlina Volkswagen è diventata uno dei modelli di auto più popolari al mondo. La durata e le quantità della sua produzione hanno superato numerosi record: la Volkswagen ha smesso di costruirla in Messico solo nel 2003, dopo 21.529.464 unità fabbricate, di cui circa 15,8 milioni in Germania.

 

La storia del Maggiolino inizia dunque con la produzione di serie a Wolfsburg il 27 dicembre 1945 e termina nel 2019 con l’arresto della catena di montaggio nello stabilimento di Puebla. Attraversa il Novecento: un fenomeno industriale e sociale prima ancora che un’automobile, con un design ed uno spirito capace di varcare i confini di tutto il mondo. Sarà praticamente impossibile superare i record di questo modello prodotto in più di 23 milioni di esemplari, di cui circa 21 milioni e mezzo nella versione “classica” prima dell’arrivo nel 1998 della sua reinterpretazione in chiave moderna, il New Beetle.

Dalle prime 1200 alle cabriolet con il motore potenziato (che in Italia divenne il Maggiolone), fino alle 1600 a tre volumi, il Maggiolino continua a strappare un sorriso ovunque lo si incontri, nelle sue tante personalizzazioni, umanizzato sul grande schermo, parte della nostra quotidianità, uno di quegli oggetti “amici” a cui dare un soprannome per sentirli più vicini: “Beetle” nel Regno Unito, “Käfer” in Germania, “Escarabajo” in Spagna, “Coccinelle” in Francia. Senza dimenticare che il primo nome scelto da Adolf Hitler era Kdf Wagen, dalle iniziali della Kraft-Durch-Freude, la “Forza Attraverso la Gioia” organizzazione assistenziale del Terzo Reich che organizzava le vacanze per i lavoratori .

 

“Auto della Forza Attraverso La Gioia”: un nome che sembra quasi una profezia di successo e longevità per una storia iniziata nel 1934 con l’annuncio del Führer di una vettura non più privilegio esclusivo della classe benestante ma democratica, un po’ come era stato per la Ford T con cui Henry Ford aveva motorizzato l’America. Un’auto che potesse trasportare cinque persone – o tre soldati e un mitragliatore – ad un prezzo non superiore ai 1000 Reichsmark. L’incarico di realizzarla venne affidato a Ferdinand Porsche, per costruire la fabbrica vennero espropriate le terre del conte Von Schulenberg in Bassa Sassonia nei pressi del castello di Wolfsburg.

 

Una Maggiolino-mania dilaga in tutti i continenti e Volkswagen apre filiali in Brasile, Messico e Sud Africa. Il boom è negli Anni Sessanta, con gli Stati Uniti che diventano il più importante mercato straniero ed il record degli oltre 560 mila esemplari venduti nel 1968, il 40% della produzione totale. Anticonformista e divertente, il Maggiolino si trasforma in simbolo della cultura hippie, fotografato a Woodstock, ma allo stesso tempo amato dai più piccoli dopo il debutto di Herbie al cinema in The Love Bug – Un Maggiolino tutto matto – prodotto dalla Disney. Nonostante le migliorie introdotte negli anni, spesso in anticipo sui tempi, come il tettuccio apribile in Pvc idrorepellente, gli pneumatici tubeless e la verniciatura acrilica, negli Anni Settanta le vendite iniziano a calare, finchè nel 1978 la produzione europea cessa per far posto alla Golf e continuare in Messico. La brutta notizia è che anche a Puebla è calato il sipario per il “vochito” (come era soprannominato) e la casa automobilistica tedesca saluta il suo modello dopo una storia quasi centenaria; sulle note di una cover di “Let it Be” dei Beatles. La buona notizia è che difficilmente il Maggiolino in tutte le sue declinazioni sparirà dalle nostre strade, con centinaia di migliaia di esemplari ancora circolanti, determinati a rimanere tutt’altro che l’oggetto di nostalgici amarcord.

 



I primi soci del nostro club Vams hanno già portato al club VAMS pacchi dono con semplici prodotti alimentari da consegnare alle mense dei poveri della città di Varese aderendo all’iniziativa dell’ASI, Befana della solidarietà 2021.

Il 6 gennaio 2021 raggiungeremo le due mense varesine con moto e auto storiche, partendo dal nostro club che mercoledi 23 dicembre (ore 15-19) è aperto SOLO per ritirare i pacchi dono alimentari.

Altre aperture il 30/12 e il 5/1, ore 15-19.

Vi aspettiamo con semplici doni alimentari (pasta, riso, latte, prodotti alimentari non deperibili, in scatola, ecc).

UNISCITI ANCHE TU A NOI IN QUESTO GESTO DI SENSIBILITA’.

 

INFO: Tel. 0332 – 242524

 

La manifestazione sarà trasmessa in diretta Facebook nazionale ASI e condivideremo con gli altri Club Federati ASI questo semplice gesto di solidarietà verso i più bisognosi del territorio di Varese.
DESTINAZIONE 1 : mensa serale dei poveri di Varese, gestita dalle Suore della Riparazione, in via Luini: accoglienza, preparazione e distribuzione del pasto dalle ore 17 alle ore 20.30.
https://www.facebook.com/mensadeipoverivarese/
DESTINAZIONE 2: mensa diurna alla Casa della Carità della Brunella di Varese. Ogni mattina viene offerto il pasto caldo, possibilità di lavarsi e vestirsi, spesa di alimenti di necessità ed un sorriso. https://www.panedisantantonio.com

 

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Nel dicembre del 1905 la L&K Voiturette A ha inaugurato la produzione automobilistica a Mladá Boleslav (Rep. Ceca) oggi sede principale di ŠKODA AUTO e centro di produzione del prossimo SUV 100% elettrico ENYAQ iV . ŠKODA AUTO ha celebrato nel 2020 i 125 anni dalla propria fondazione

 

Nel dicembre del 1905 Václav Laurin e Václav Klement presentarono la loro prima automobile, denominata Voiturette A. Dopo i successi ottenuti nella produzione di biciclette e motociclette sin dal 1895, iniziava allora una storia di successo nella produzione automobilistica, legata alla cittadina di Mladá Boleslav, dove oggi ha sede il quartier generale di ŠKODA AUTO e dove vengono prodotti numerosi modelli di successo, da FABIA alla gamma OCTAVIA, da KAROQ al nuovo SUV 100% elettrico ENYAQ iV. Nel solco della “ŠKODA 2025 Strategy” oggi ŠKODA AUTO sta organizzando la propria trasformazione da tradizionale costruttore di autoveicoli a “Simply Clever company for the best mobility solutions”.

La storia di successo di ŠKODA AUTO inizia nel 1895, con l’avvio da parte dei fondatori Václav Laurin e Václav Klement della produzione di biciclette. Nel 1899 alle due ruote a pedali si aggiunsero quelle a motore, con motori monocilindrici a benzina integrati nel telaio. Negli anni a seguire Laurin&Klement furono tra i pochi costruttori al mondo a offrire motociclette con motori bicilindrici a V e quattro cilindri in linea e ottennero successo sia tra i clienti sia nelle competizioni. La produzione delle biciclette fu gradualmente abbandonata per concentrarsi sullo sviluppo tecnico e sulla preparazione alla produzione di un nuovo veicolo allora agli albori, l’automobile. Nel 1905, la società impiegava già 355 persone, su una superficie di 9500 metri quadri e con l’utilizzo di 206 macchine utensili.

Nello stesso anno fu presentata la Voiturette A, prima automobile L&K, sviluppata nel corso dei 5 anni precedenti. La versione definitiva, pronta per la produzione in serie sarebbe arrivata nella primavera del 1906, in occasione del Motor Show di Praga. Costruita su un robusto telaio a longheroni con assali rigidi e molle a balestra, montava un motore da 1.0 litri V2 raffreddato ad acqua, con una potenza massima di 7 CV. Il cambio a tre marce trasmetteva il moto alle ruote posteriori attraverso un giunto cardanico. Il peso complessivo era di circa 500 kg. Illuminazione, capote e diversi layout per i sedili e lo spazio per il carico erano disponibili in opzione.

La produzione, dal 1905 al 1907 è stata di 44 unità, di cui cinque sopravvivono ancora oggi. Una di questa è esposta in modo permanente presso lo ŠKODA Museum di Mladá Boleslav. Anche dopo l’ingresso di ŠKODA nella società e durante gli anni di nazionalizzazione dell’impresa in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, Mladá Boleslav è rimasta il fulcro della produzione automobilistica dell’azienda, raggiungendo nel 1964 il traguardo delle 100.000 automobili prodotte. Nel 1991, l’ingresso di ŠKODA nel Gruppo VW ha segnato la definitiva trasformazione del Brand da produttore locale, leader del mercato con circa 200.000 esemplari costruiti ogni anno, all’odierno ruolo di player globale presente in oltre 100 mercati, con una produzione che ha raggiunto gli 1,24 milioni di automobili nel 2019.

Oggi ŠKODA produce in Repubblica Ceca, Slovacchia, Cina, Russia, India e Ucraina.

Nel 2020 ŠKODA celebra i 125 anni dalla fondazione e offre una completa gamma di modelli frutto della più importante offensiva di prodotto della propria storia.


Carissimi soci e amici del club VAMS VARESE,
presidenza e consiglio direttivo del club VAMS hanno deciso di partecipare all’iniziativa benefica ASI Solidale – legata al territorio di VARESE – denominata “LA BEFANA DELL’ASI”.
Lunedì 6 gennaio 2021 una rappresentanza del nostro CLUB VAMS VARESE consegnerà con moto e auto storiche doni e pacchi alimentari raccolti dai soci durante il periodo delle Festività presso la sede del club VAMS. La manifestazione sarà trasmessa in diretta Facebook nazionale ASI e condivideremo con gli altri Club Federati ASI questo semplice gesto di solidarietà verso i più bisognosi del territorio di Varese.
DESTINAZIONE 1 : mensa serale dei poveri di Varese, gestita dalle Suore della Riparazione, in via Luini: accoglienza, preparazione e distribuzione del pasto dalle ore 17 alle ore 20.30.
https://www.facebook.com/mensadeipoverivarese/
DESTINAZIONE 2: mensa diurna alla Casa della Carità della Brunella di Varese. Ogni mattina viene offerto il pasto caldo, possibilità di lavarsi e vestirsi, spesa di alimenti di necessità ed un sorriso. https://www.panedisantantonio.com
CENTRO DI RACCOLTA PRESSO IL NOSTRO CLUB AUTO MOTO STORICHE VARESE:
17 dicembre, 23 dicembre, 30 dicembre 2020, 5 gennaio 2021, ore 15 – 19 – tel. 0332 – 24.25.24.
CIBI DA DONARE: pasta, riso, tonno, pomodori pelati, fagioli, lenticchie, piselli, fagiolini ecc. tutto in scatola, formaggio grana, panettone e pandoro, tè in bottiglia e/o confezioni plastica, latte a lunga conservazione, ecc.
Siamo certi che la generosità dei soci VAMS Varese non mancherà di evidenziarsi a favore di persone realmente bisognose che frequentano strutture molto stimate, in un periodo particolare della nostra vita.

 La storia della Carrozzeria creata nel 1930 da Giovanni Battista ‘Pinin’ Farina ed in seguito gestita dal figlio Sergio e dai nipoti, fino all’attuale presidenza di Paolo Pininfarina, è estremante complessa. In questo nuovo volume pubblicato da Artioli Editore è raccontata da Daniele Buzzonetti, uno dei più preparati giornalisti esperti della storia dell’automobile.

In estrema sintesi l’epopea Pininfarina si può riassumere in una semplice definizione: ‘Uno sterminato esempio di genio italiano, unito a un rigore tipicamente piemontese’. Come concetto di fondo, ovviamente, perché gli avvenimenti e lo sviluppo dell’azienda, arrivata a produrre fino a circa 50.000 vetture all’anno (escludendo le concept car e i prototipi, realizzati per conto delle grandi Case, da sempre core business del marchio), occupano uno spazio non indifferente. Come è infinita la lista dei modelli, talvolta esemplari unici ma molto spesso piccole o grandi serie, tutte targate Pininfarina.

 

Per evitare la monotona dispersione di una analisi cronologica, le Case che hanno avuto un rapporto importante con la Pininfarina, sono state raggruppate nel libro di Daniele Buzzonetti, in capitoli separati: Ferrari, Lancia, Cisitalia, Maserati, Fiat, Alfa Romeo, Bentley-Rolls Royce, Innocenti e Peugeot. Altrettanti capitoli, con ovvie suddivisioni, comprendono i marchi americani e quelli inglesi.

 

Nel caso della Ferrari, i capitoli sono in realtà quattro, considerata la folgorante sequenza di prodotti, gestiti tra il Piemonte e Maranello, spesso con l’apporto pratico della Carrozzeria Scaglietti, a partire dalla fine degli Anni ’50. Anche le mitiche show car che per decenni hanno ‘illuminato’ i Saloni dell’auto sono state raggruppate in un unico capitolo. Naturalmente non manca lo spazio ai più recenti avvenimenti vissuti dalla Pininfarina, culminati con la presentazione della supercar Battista, dalle prestazioni esaltanti, ma totalmente green grazie ai motori elettrici.

Con oltre 500 fotografie (per lo più a colori, anche nel caso di modelli datati, per i quali sono state scelte immagini di vetture restaurate), è stata ricostruita la storia di un marchio, da sempre ai vertici, grazie a concetti tipicamente italiani: stile e bellezza.

 

320 pagine – 400 ill. a colori e b/n

ARTIOLI EDITORE 1899

 

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LA STORIA DI PININFARINA

 

Sorta come una piccola attività artigianale dedita alla costruzione di carrozzerie su ordinazione di facoltosi clienti privati, grazie al finanziamento di una zia della moglie e al fattivo appoggio di Vincenzo Lancia, che per primo credette nelle intuizioni dell’amico Pinin Farina al quale poi fece carrozzare molte delle sue automobili, divenne negli anni un’industria con la capacità di offrire al mercato automobilistico progettazioni complete di autoveicoli e, più in generale, di mezzi di trasporto, concepiti anche con l’ausilio di ricerche ingegneristiche avanzate. Pinin Farina fu tra i primi a interessarsi concretamente di aerodinamica, e il figlio Sergio apportò all’industria un approccio più ingegneristico e meno empirico.

Nei primi anni di vita, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, la società si fece conoscere per la costruzione artigianale e in piccola serie di carrozzerie particolari progettate su meccaniche in primis del socio Vincenzo Lancia in particolare su Dilambda, dell’Alfa Romeo, della Hispano-Suiza e della FIAT.

È nel momento della prima ricostruzione postbellica che Pininfarina concepì la prima automobile di fama mondiale, la Cisitalia 202. Presentata nel 1947, fu la prima autovettura che ottenne l’onore di un posto in un museo, il MOMA di New York.

Da quel momento conosciuta in tutto il mondo, la Pininfarina ha disegnato lo stile di centinaia di autovetture, talune delle quali famose e rinomate. L’azienda è poi passata, a partire dal 1961, sotto la guida del figlio del fondatore, Sergio, designer di fama mondiale, che ha proseguito la ricerca sempre restando nel campo delle automobili.

Già negli anni cinquanta iniziò la collaborazione con case automobilistiche straniere, ad esempio la francese Peugeot con cui il rapporto continua anche ai giorni nostri.

Sempre della fine degli anni ’50 è anche la trasformazione da struttura artigianale ad una vera realtà industriale. L’evento di passaggio è la produzione per conto della Alfa Romeo di 27.000 Giulietta Spider nata in Pininfarina ispirandosi, per il design dell’auto, alla Lancia Aurelia B24.

Il decennio 1960-1970 è quello che segna la creazione di alcuni tra i modelli più famosi, come l’Alfa Romeo Spider Duetto, la Lancia Flamini, la Lancia Flavia coupé, la Dino 246 e le Fiat 124 Sport Spider, Dino Spider.

A partire dai primi anni ’60 a seguito del trasferimento nel nuovo stabilimento di Grugliasco, si riscontra un forte impegno nello sviluppo tecnologico e aerodinamico, prima con la creazione del CCD (Centro di Calcolo e Disegno) e, in seguito, con la costruzione di una galleria del vento in scala naturale, la prima in Italia per le autovetture e una delle poche allora esistenti al mondo. Grazie anche a queste nuove tecnologie escono Ferrari 365 Daytona, 308 GTB e 400, la Fiat 130 Coupé, la Lancia Montecarlo (che fu la prima auto ad usufruirne) e le Lancia Gamma Berlina e Coupé (da cui nacquero anche gli splendidi prototipi Lancia Gamma Olgiata (Station-coupé), T-Roof (spider) e Scala (berlina 3 volumi). Oltre che per le automobili, nella galleria del vento vengono sperimentate nuove soluzioni anche per i caravan. È del 1978 lo studio aerodinamico per la “Futura” della Nardi Caravans, prima roulotte costruita con il frontale inclinato per migliorare il CX.

Sempre a cavallo tra gli anni 70 e primi anni 80, la Pininfarina strinse un accordo con la Lancia, in nome dell’antico legame tra le 2 case torinesi, anche per lo sviluppo di design ed aerodinamica delle sue sportive che in quell’epoca gareggiavano in pista e nei rally: tra queste vanno ricordate la Lancia Beta Montecarlo Turbo, la Lancia LC1, Lancia LC2, Lancia 037, Lancia Delta S4 e i prototipi Lancia ECV e ECV2

Dalla produzione di sole carrozzerie su telai di altri, l’azienda passò alla costruzione di intere vetture come la Fiat Campagnola e l’Alfa Romeo 33 Giardinetta. Nel frattempo strinse rapporti con ulteriori costruttori internazionale come la Honda e la Jaguar.

Nel 1986 l’azienda decide un ulteriore salto di qualità con la quotazione delle sue azioni in borsa, mentre le sue attività produttive sono rivolte verso altri modelli di automobile, tra i quali si possono citare: Ferrari Testarossa, Alfa Romeo Spider, Fiat Fiorino, Lancia Thema Station Wagon e molte Peugeot. Per quanto riguarda il reparto design e progettazione sono di questi anni nuovi accordi all’estero con Daewoo, Cadillac (ad esempio la Cadillac Allanté), Bentley e Mitsubishi, nonché il disegno delle serie x05 e alcune x06 della Peugeot, Alfa Romeo 164, Ferrari 288 GTO, Ferrari F40 e Fiat Coupé.

Questi primi anni del secolo sono dedicati ad altri modelli importanti e conosciuti, la Hyunda Matrix, Ferrari 575M Maranello e Ferrari Enzo, Mitsubishi Pajero Pinin, Alfa Romeo GTV, oltre che a modelli unici come la Ferrari P4/5.

Come molte altre aziende di design automobilistico, oltre alle vetture poi entrate in produzione di serie, la Pininfarina ha presentato ai vari saloni delle vetture concept car tra le quali si possono segnalare la Ferrari Modulo del 1970, la Ferrari Rossa Concept del 2000 e la Maserati Birdcage 75th del 2005.

La mattina del 7 agosto 2008, Andrea Pininfarina, presidente e amministratore delegato della storica carrozzeria torinese, muore sul colpo in un incidente stradale a Trofarello, nei pressi del Centro Stile di Cambiano, schiantandosi con il suo scooter in un’auto sbucata da una via laterale. Gli Succede alla presidenza dell’azienda il fratello Paolo.

Nei primi giorni di dicembre 2008 il designer italo-statunitense Jason Castriota, è passato alla carrozzeria Bertone diventandone direttore stilistico. Castriota per Pininfarina realizzò molte auto fra cui la Ferrari P4/5, la Maserati Birdcage 75th, Rolls Royce Hyperion, e collaborò alla realizzazione di Maserati GranTurismo, Ferrari 599 GTB Fiorano

Sempre creazione della carrozzeria torinese è la Ferrari 458 Italia, presentata in anteprima nel luglio 2009 e destinata al Salone dell’automobile di Francoforte dello stesso anno per la presentazione ufficiale.

Il 1º aprile 2011 il designer Fabio Filippini viene nominato Direttore Design e assume la guida di un team che conta un centinaio di creativi e progettisti.

Il 3 luglio 2012 viene a mancare Sergio Pininfarina, che ha guidato la crescita dell’azienda nell’ultimo mezzo secolo (1961-2001). Sempre nel 2012 Pininfarina stringe un accordo con la cinese South East Motor per realizzare il design di una gamma di modelli destinati alla produzione; il primo frutto della collaborazione è la crossover DX7, medio-compatta che viene presentata nel 2015 dopo un lavoro di circa 3 anni ed entra in produzione per il mercato locale. A seguire viene presentata la DX3, crossover compatta sempre destinata alla Cina.

Il 14 dicembre 2015 viene comunicata la cessione dell’azienda], in grave insolvenza, al gruppo indiano Mahindra & Mahindra al prezzo di 1,10 euro per azione: allo stesso importo viene l’OPA obbligatoria senza però raggiungere l’obiettivo del delisting del titolo.

 


Tra i grandi uomini che hanno fatto la storia della Marca Citroën e che più in generale hanno segnato la storia dell’automobile, c’è Paul Magès, il padre delle leggendarie sospensioni idropneumatiche. Fu collega del designer varesino FLAMINIO BERTONI in Citroen.

Personaggio vulcanico, entrò nel 1942 nel team di Andre Lefebvre per studiare un nuovo sistema di sospensioni per la 2CV che sarebbe stata lanciata sul mercato pochi anni dopo. Concepì le innovative sospensioni idropneumatiche che avrebbero equipaggiato nel 1954 la Traction Avant 15 Six H e poi successivamente molte altre vetture Citroën, da DS a modelli come GS, SM, CX, Xantia.

Riuscì ad ottenere quel leggendario bilanciamento tra tenuta di strada e comfort a bordo che ancora oggi contraddistingue le vetture Citroën.

 

Paul Ernest Mary Magès nacque ad Aussois, in Savoia, il 9 marzo 1908. Nell’agosto del 1925, dopo le scuole professionali, venne assunto, diciassettenne, presso Citroën, come disegnatore.

Magès era un personaggio dalla personalità eclettica: oltre a svolgere il suo lavoro con eccezionale rapidità e precisione, suggeriva continuamente nuove idee e soluzioni; come quando, alla fine degli anni ’20, propose una riorganizzazione completa del reparto “Gutenberg” (dal nome della strada che lo attraversa) della fabbrica di quai de Javel, dove venivano prodotti i motori.

André Citroën in persona lo nominò capo della programmazione di quel settore, ma lui non si fermò e ne riorganizzò altri due: la ferratura e la produzione degli impianti elettrici. Paul Magès aveva solo 22 anni.

Nel 1934 divenne vice-responsabile del delicatissimo dipartimento trasporti. Due anni dopo ristrutturò il reparto riparazioni e nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, fu posto a capo del Super Controllo, la struttura che si occupava di sorvegliare ogni dipartimento tecnico dell’azienda. In quegli anni, Citroën era ormai diretta da Pierre Jules Boulanger, che nel frattempo ne era diventato anche presidente dopo la scomparsa del fondatore, avvenuta nel luglio del 1935.

Sarà proprio Boulanger, nel settembre del 1942, a notare la genialità di Magès e ad invitarlo ad unirsi al gruppo di progettisti che ruotava attorno ad Andre Lefebvre, l’Ingegnere che stava progettando le future Citroën: la TPV e la VGD, ovvero le future 2CV e DS.

Magès aveva già fatto pratica con l’idraulica: per il furgone TUB (Type Utilitaire B), presentato poco prima della guerra e prodotto in pochissime unità, e per i veicoli industriali pesanti Citroën, Magès aveva studiato un sistema di regolazione automatica della frenata in funzione del carico; dispositivo che verrà ri-utilizzato, perfezionato, su altri veicoli Citroën.

Nel gruppo di Lefebvre, il primo incarico per Paul Magès fu quello di studiare una sospensione innovativa per la futura 2CV. Quando si parla di sospensioni, l’obiettivo è quello di conciliare tenuta di strada e comfort.

Se una sospensione è confortevole, il rischio è che su strade sconnesse le ruote non restino costantemente aderenti al fondo stradale, comportamento che risulterebbe pericoloso nelle curve. Tuttavia, se si irrigidiscono eccessivamente gli ammortizzatori, ogni minima asperità potrebbe andare a compromettere il comfort dei passeggeri. Serve un compromesso. Lo stesso cercato dai costruttori di carri a cavalli ed ancora lo stesso desiderato da chi faceva automobili negli anni ’40.

Si dice che nell’ufficio di Paul Magès campeggiasse una scritta che recitava “tutti credevano che fosse impossibile, tranne un imbecille che non lo sapeva e l’ha fatto”.

Paul Magès pensava che tutto fosse possibile e che semplicemente fosse necessario studiare un modo per farlo. E lo fece: nel 1944, dopo due anni di progetti ed esperimenti che proseguivano anche sotto ai bombardamenti, era pronta la prima automobile dotata della nuova, rivoluzionaria sospensione inventata da Paul Magès: una 2CV!

Magès aveva seguito il consiglio che Lefebvre dispensava quotidianamente a tutti i suoi collaboratori: era partito da un foglio bianco, affrontando il problema della sospensione di un autoveicolo come se niente fosse mai stato sviluppato in passato.

Per prima cosa, aveva scelto un nuovo elemento elastico: non più molle o balestre metalliche, ma un pallone pieno di gas.

Il gas, a differenza del metallo, non è soggetto a “pendolarità”: se si comprime una molla e poi la si rilascia, questa oscillerà un po’ di volte prima di tornare alla sua posizione originale. È quello che succede a molle e balestre se non si interpone un ammortizzatore. Più duro è l’ammortizzatore, migliore è la tenuta, perché l’auto ha una limitata libertà di escursione e quindi rimane maggiormente aderente al fondo stradale. Ma l’eccessiva durezza dell’ammortizzatore farà sì che le asperità della strada vengano trasmesse al veicolo senza essere filtrate, a discapito del comfort di bordo.

Questo non accade con un gas perché quando si ri-espande dopo essere stato compresso, tornerà al suo volume originale, senza oscillazioni.

Non solo: si otterrà così una sospensione “autoregolante”. Se si appoggia un chilo di peso sopra una molla, questa si abbasserà, per esempio di 1 centimetro. Se il peso diventa di 2 chili, la molla si abbasserà di 2 centimetri e così via, sino ad arrivare a chiudersi su stessa, annullando l’azione della sospensione.

Invece, un gas oppone una resistenza maggiore man mano che viene compresso: sotto il peso di 1 chilo si schiaccia di 1 centimetro, sotto a 2 chili si schiaccia di un 1 centimetro e mezzo, con 3 chili di un centimetro e settantacinque e così via. Come nel paradosso di Zenone, la sospensione che poggia su un gas diverrà sempre più rigida via via che viene caricata, ma la comprimibilità non arriverà a zero se non con carichi inverosimili quanto praticamente impossibili.

Ora entra in gioco il secondo elemento della sospensione idropneumatica: il liquido.

È chiaro che non sia possibile posizionare quattro palloncini tra l’auto e le sue ruote; diventa quindi necessario capire come collegare le sacche di gas agli assali della vettura. La soluzione è relativamente semplice: usare dei pistoni pieni di un liquido che va a sua volta a comprimere il gas, contenuto in sfere, dove un diaframma evita che il liquido si mescoli con il gas.

Così funziona la prima 2CV idropneumatica: quattro sfere (una per ruota) contengono del gas che è diviso dal liquido tramite una membrana di sughero. Sulla carta sembrava tutto giusto. Il problema era che il sughero non resisteva alla pressione e andava in briciole alla prima buca sull’asfalto. E nel 1944 le buche per strada certo non mancavano. Non potendo coprirle tutte, bisognava sostituire il materiale di cui era fatto il diaframma, e l’esperienza della Michelin con la gomma in questo caso fu preziosissima.

I risultati ottenuti da Paul Magès furono così sorprendenti che venne incoraggiato a proseguire nel suo progetto e l’azienda gli concesse alcuni collaboratori che si occuparono a tempo pieno della nuova sospensione.

Pierre Jules Boulanger, però, aveva fretta di lanciare la TPV (verrà presentata nel 1948) e per la sospensione scelse un’inedita configurazione: molle elicoidali ed ammortizzatori a frizione, con interazione tra sospensione anteriore e posteriore, schema che caratterizzerà le piccole di casa Citroën (2CV, AMI, Dyane, Méhari e derivate commerciali), restando sostanzialmente invariato fino all’ultima 2CV, prodotta il 27 luglio del 1990.

La prima applicazione pratica di quella sospensione idropneumatica che avrebbe caratterizzato le stradiste Citroën per i successivi sessant’anni arrivò nel 1954 con il lancio della Traction Avant 15 Six H, dove la “H” significava proprio Hydropneumatique. La soluzione scelta fu quella ibrida di sospensioni tradizionali davanti e idropneumatiche autolivellanti dietro, dove la vettura era più soggetta alle oscillazioni dovute al carico. Un trionfo! Stampa e utenti lodarono in coro la nuova sospensione dallo straordinario molleggio che assorbiva meravigliosamente gli ostacoli e manteneva la vettura orizzontale indipendentemente dal carico.

Dall’anno successivo, il 1955, la prima auto a beneficiare della nuova sospensione sulle quattro ruote fu la DS19 e, dal 1970, una quantità di altri modelli, come GS, SM, CX, GSA, BX, XM, XANTIA, C5 e C6, dalle ammiraglie alle “medie”.

Paul Magès, scomparso nel 1999 all’età di 92 anni, fu anche l’autore di meraviglie tecnologiche come lo sterzo Di.Ra.Vi. che ha equipaggiato SM, CX e le versioni V6 di XM dimostrando in un’epoca dove l’elettronica non era ancora in grado di svolgere con sicurezza determinate funzioni, che l’unico limite alla volontà è la propria fantasia. E a Paul Magès la fantasia, la costanza, la fermezza nelle proprie convinzioni, certamente non facevano difetto.


A chiusura dell’anno che ha celebrato i 110 anni dalla fondazione del Marchio, Arnaud Leclerc, Head of Alfa Romeo EMEA, Klaus Busse, Head of Design EMEA, e Fabio Migliavacca, Head of Product Marketing EMEA, raccontano in un video i retroscena del progetto di Giulia GTA, la berlina sportiva più performante mai prodotta da Alfa Romeo. Una super car da guidare su strada e su pista, un regalo che il Brand ha fortemente voluto dedicare a tutti gli appassionati di Alfa Romeo e di automobili in genere nell’anno del 110° anniversario. 

 

I tre protagonisti del video hanno voluto trasmettere le emozioni che hanno provato nel concepire la celebrazione di una vera icona Alfa Romeo, progettando, disegnando e realizzando questa vettura, simbolo dell’italianità, delle performance, del design e del “saper fare” tipicamente italiano: dai primi schizzi alla messa su strada.

Prodotta in soli 500 esemplari Giulia GTA insieme con la versione GTAm, dove “m” sta per modificata, è un ritorno alle radici del Marchio e un omaggio a uno dei modelli più rappresentativi del Biscione, la Giulia GTA del 1965, la “Gran Turismo Alleggerita” sviluppata da Autodelta a partire dalla Giulia Sprint GT, che collezionò successi sportivi in tutto il mondo.

 

Il progetto Giulia GTA ha beneficiato della consolidata partnership con Sauber Group AG, sfruttando il know-how del comparto Engineering e Aerodynamics. Forte di 50 anni di esperienza nel motorsport, di cui 27 in F1, Sauber Group ha maturato un’importante esperienza nella progettazione e nell’utilizzo del carbonio, oltre a competenze approfondite sull’aerodinamica.

Il team svizzero, infatti, è uno dei pochi di F1 ad avere una galleria del vento di proprietà, a Hinwil, in Svizzera. Così Alfa Romeo ha affidato a Sauber Engineering la produzione di gran parte dei componenti in carbonio di GTA e GTAm. In particolare, quelli con un impatto aerodinamico come il nuovo paraurti anteriore, le minigonne laterali, l’estrattore, lo spoiler GTA e l’aerowing GTAm. Grazie alle ali anteriori e posteriori regolabili manualmente, Giulia GTAm è in grado di adattare il carico aerodinamico su qualsiasi pista o strada, a seconda delle richieste e delle preferenze del guidatore.

 

Il risultato è una vettura da togliere il fiato sia sotto il profilo estetico, con le grandi prese d’aria frontali e l’enorme spoiler di carbonio sul posteriore, sia sul fronte delle prestazioni. Il motore della Giulia GTAm è l’Alfa Romeo 2.9 V6 Bi-Turbo realizzato interamente in alluminio, capace di sprigionare una potenza di 540 cavalli e con un’accelerazione da 0 a 100 a dir poco fulminea: grazie al sistema di Launch Control, il cronometro si ferma a soli 3,6 secondi.